I tormentati viaggi di Orfeo
- Press Office
- 2 mag 2020
- Tempo di lettura: 12 min
Aggiornamento: 14 mag 2020
Intervista a Rodolfo Montuoro di Francesco Zaglia, “Mescalina”
Rodolfo Montuoro è un artista anomalo nel panorama italiano: per l’utilizzo della voce, per la scrittura delle musiche, per la scelta dei musicisti, ma soprattutto per l’approfondimento nelle tematiche. Le figure mitologiche si alternano, in questo come nei precedenti dischi, a spaccati di contemporaneità che le attualizzano. Abbiamo cercato ancora una volta di seguire i passi del percorso artistico che lo ha portato a questo nuovo lavoro.

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Cominciamo entrando subito nel vivo. Proprio come ti avevo chiesto chi era Ulisse – quando presentasti il tuo album “a_vision” nel 2006 – e chi era Hannibal, quando parlammo del tuo ultimo lavoro discografico (“Hannibal. Mythologies I”), ora devo chiederti da subito: chi è Orfeo?
Orfeo, nel mito, rappresenta il potere del canto e della parola che si incarna nella poesia, nella musica e anche nel discorso persuasivo. Per la sua destrezza in queste arti, egli commuove, seduce, convince e incanta tutte le creature. Non solo gli esseri umani, ma anche le vegetazioni, i venti, le pietre, i vulcani, le costellazioni… Quando Orfeo canta o racconta, i boschi cominciano a muoversi, gli uccelli scivolano sui rami degli alberi e si dimenticano di volare, il corso dei torrenti si ferma, gli animali escono dai loro nascondigli per andare ad ascoltarlo… Orfeo è amato da tutti e da ogni cosa. Ma, a un certo punto, talenti e poteri non gli servono più a niente. Euridice, la sua promessa sposa, muore il giorno prima delle nozze mentre cerca di sfuggire a un altro suo spasimante - il pastore Aristeo - che la vorrebbe per sé. Orfeo non si rassegna e scende nell’Ade. Vuole farla rivivere. Vuole riportarla alla luce del sole e riesce a convincere col suo canto le divinità infernali. Ma c’è una condizione inflessibile: lungo il sentiero tra la morte e la vita, lui non dovrà mai voltarsi a guardarla. Orfeo non resiste. Preso dalla paura di lasciarsela ancora sfuggire e da un desiderio invincibile di baciarla, si volge verso di lei e così la perde per sempre. Questo lutto segna una svolta irreversibile nella sua esistenza. D’ora in poi la sua sventura non avrà mai fine. Si isola da tutti, ossessionato dalla memoria di Euridice. Così chi lo ha amato comincia a odiarlo. E sarà sempre peggio per lui. Alla fine, diventa preda delle sacerdotesse di Dioniso che lo inseguono e lo fanno a pezzi, imbestialite dalla sua ossessione e dalla sua indifferenza. Le parti del suo corpo rotolano alla rinfusa sulle acque del fiume Ebro. Ma la testa mozza di Orfeo, mentre galleggia tra i flutti, continua a intonare una canzone disperata e bellissima. Orfeo è uno che ha tutto e perde tutto. Forse perché non sa aspettare e resistere ai suoi impulsi. Forse perché resta prigioniero della mancanza e del ricordo. Forse perché non ce la fa a inventarsi un’altra vita. O perché ha osato ingannare la morte e ha rovesciato gli ordini naturali, e non ha mai voluto adattarsi. Oppure perché è un vigliacco che non ha saputo morire per amore, come disse di lui Platone. O per tutte queste cose insieme. Con i tre pezzi di questo minialbum fisso tre momenti, tre tessere di questa storia così labirintica, colti nell’attimo esatto in cui interferiscono con la mia immaginazione.
Questi brani entrano a far parte delle tue “Mythologies”. Che differenza c’è fra i miti che hai voluto descrivere in questo e negli altri tuoi album precedenti?
In “Hannibal” c’erano delle figure mitologiche terribili e vincenti. C’era Hannibal Lecter, innanzitutto, con le sue maschere seducenti e le sue istigazioni alla metamorfosi. C’erano Eros e Psiche, colti in un inseguimento reciproco, in una specie di movie a lieto fine. Si tratta, in tutti e tre i casi, di una mitografia vitale e vittoriosa. Hannibal, col suo sembiante di serial killer, dispensa nuove vite, identità, chances. Psiche, unica tra gli esseri umani, raggiunge l’immortalità (ovvero l’Amore eterno) e realizza il suo desiderio. Eros conquista quell’Anima che gli era sempre stata interdetta nell’Olimpo. Tutto si svolge alla luce di un pericoloso compimento in cui ognuno, alla fine, raggiunge il suo scopo, seppure tra orrori, mutamenti, deformazioni, avversità e imprese impossibili. Sono vicende che si snodano orribilmente e poi finiscono in bellezza. Orfeo, al contrario, rappresenta la caduta, l’abbandono, il limite, il lutto, la colpa, la mancanza, l’esperienza dell’inferno. Tutto si svolge in un mondo notturno che è anche luogo d’origine della musica e del canto. Nel mondo disperato di Orfeo, è come se un albero bellissimo e ricco di ramificazioni sontuose si rovesciasse, mostrando al cielo le sue radici sanguinanti.

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